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...Un pò di storia

L'interesse naturalistico dell'alta valle dell'Anapo si fonde con quello storico-archeologico legato alla grande e spettacolare necropoli di Pantalica, il maggiore centro della tarda età del bronzo nella Sicilia Orientale. Seguendo una lettura combinata dei dati archeologici e di una tradizione storica risalente ad Ellenico, si è collegata la genesi della civiltà di Pantalica a profondi mutamenti che si determinarono nella politica e nella geografia antropica dell'Isola durante la prima metà del sec. XIII a.c. In quest'epoca le popolazioni della Sicilia Orientale, sotto la pressione di Siculi, Musoni e Morgeti, abbandonarono le località costiere per insediarsi sulle alture più accidentate, in posizioni di difficile accesso, dando vita a pochi grandi centri. Si attua così in Sicilia il passaggio dalle ristrette e frammentarie comunità dei villaggi ad un paradigma organizzativo protourbano, in seno al quale vengono instaurate più complesse strutture socio-politiche. Portatrici di una cultura profondamente permeata di elementi egeo-analitici (la così detta "cultura di Thapsos"), che parrebbero deporre a favore di una loro origine orientale, le genti costrette a trasmigrare dai litorali ai monti si adattarono nelle nuove sedi ad un sistema di vita estremamente rude. Come attesta Stradone, la loro economia era essenzialmente orientata verso lo sfruttamento della aree interne, a quel tempo in gran parte boscose. Inauguratosi sotto l'urgere di esigenze difensive, questa civiltà doveva poi avere una vita lunghissima, tanto che l'assetto organizzativo maturatosi nell'oscurità del XIII sec. A.C. venne mantenuto sostanzialmente intatto sino all'epoca dell'incipiente colonizzazione greca dell'Isola (sec. VIII a.c.); segno evidente, questo, che uno stato di permanente insicurezza ed ostilità ebbe a gravare sulla regione per oltre cinque secoli. Il quadro che si delinea in Sicilia fra la tarda età del bronzo e l'età del ferro è, dunque, quello di una generale involuzione delle condizioni sociali ed economiche delle popolazioni indigene; di un lungo medioevo, ha scritto Luigi Bernabò Brea, analogo a quello che, due secoli dopo, si sarebbe determinato nel mondo greco con l'invasione dorica. Insediamento eponimo di questa cultura dominata dal terrore è appunto Pantalica, l'abitato senza dubbio più vasto ed importante, sorto su uno sperone di montagna quasi completamente isolato dagli antistanti altopiani dalle gole profonde dell'Anapo e dei torrenti Speroni e Calcinara: una vera fortezza naturale, quindi, con una superficie di oltre ottanta ettari ed un perimetro di cinque chilometri. "Il segreto della resistenza di Pantalica all'irreversibile flusso della storia,"scrive suggestivamente Sebastiano Tusa" va ricercato nella solidità della sua struttura socio-economica e nel riuscito rapporto ecosistemico con l'ambiente circostante che permisero ai suoi abitanti di vivere e prosperare a lungo senza alcun bisogno di apporti esterni. Un vero e proprio territorio autonomo che doveva estendere il suo controllo su quasi tuuta la zona collinare e montuosa degli Iblei: da Rivettazzo al vallone Sna Giovanni di Ferla, dalla Pinita di Palazzolo Acreide al Bosco Rotondo di Buscami, per citare alcuni dei centri satelliti appena identificati. Una sorta di piccolo Stato che ci piace immaginare retto saggio e paternalista, monarca di omerica o esiodea connotazione, e che, grazie ad una riuscita organizzazione politica, seppe sfruttare efficacemente le risorse dell'ambiente ibleo che aveva nella cava il suo modulo ecosistemico di base." Occorre ricordare che il nome "Pantalica" è di probabile origine bizantina. In alcuni documenti medioevali l'antico centro viene chiamato "Pantargo" o "Pantagra", mentre il Fazello (1558) lo identificò con Herbessus, insediamento siculo richiamato dalle fonti classiche che Tolomeo pone tra Neetum e Leontinoi. Benché contestata dal Cluverius (1619), tale identificazione venne accolta nei secoli successivi con generale favore. Secondo una fondata ipotesi di Francois Villard, Pantalica corrisponderebbe a quella leggendaria Hybla (tradizionalmente identificata con Melilli), il cui re, Hyblon, cedette ai Megaresi di Lamis quel lembo del suo territorio in cui essi fondarono Megera Hyblaea, in cambio, forse, del loro aiuto contro la nuova potente colonia calcidese di Leontinoi. Cuore di un vasto dominio, comprendente l'intero altopiano del monte Lauro e la fascia costiera che aveva da Siracusa ad Augusta, Hybla dovette prosperare ancora per parecchi decenni dopo la fondazione delle prime colonie greche; nonostante la sua formidabile posizione difensiva, il confronto con Siracusa, in espansione nel retroterra, le sarebbe stato fatale. Distrutta con ogni probabilità dai Siracusani prima della fondazione di Akrai (664-663 a.C) e ridotta in età greca a borgata agricola, Pantalica-Hybla verrà nuovamente abitata nel corso dei millenni quando si ripresenteranno le condizioni di grave pericolo che ne avevano determinato la nascita agli albori della protostoria: quando, cioè le popolazioni bizantine del IX sec. D.C. vi troveranno riparo dalle continue e devastanti incursioni degli Arabi nell'Isola.
A testimonianza della città protostorica, nelle ampie e precipiti balze rocciose che circondano Pantalica si aprono innumerevoli celle sepolcrali. Mentre le necropoli delle età precedenti sono costituite solo da alcune decine o al massimo un centinaio di sepolcri, a Pantalica questi superano nel complesso il numero di cinquemila: nell'antica Hybla, dunque, doveva concentrarsi una popolazione eccezionalmente numerosa, formatasi, forse per sinecismo dei gruppi sparsi in precedenza nel territorio. Per tuta l'età di Pantalica (XIII -VIII sec. a.c.) il tipo della tomba rimane fondamentalmente, come nelle età precedenti, quello della grotticella artificiale, della cameretta a forma di forno scavata nella roccia. Tuttavia, nell'evoluzione culturale di questo lungo periodo di solo apparente staticità possono facilmente individuarsi quattro differenti fasi, ciascuna riflessa nelle fogge e nello stile decorativo delle suppellettili funerarie (segnatamente nelle ceramiche e, tra i bronzi, nelle fibule) e variamente attestata nei corredi di Pantalica stessa. Secondo la periodizzazione autorevolmente proposta da Luigi Bernabò Brea, la facies più antica (XIII - XII sec. A.c.) sarebbe quella offertaci dalla grandiosa e scenografica necropoli Nord (1500 tombe), dalla necropoli Nord-Ovest e da un nucleo della necropoli Sud. In questa prima facies della civiltà di Pantalica particolarmente profonda è l'influenza del mondo Egeo, con cui il nuovo stato montano degli Iblei ha ripreso - sia pure nella diversa forma imposta dalla durezza dei tempi - i contatti commerciali che avevano animato l'età precedente e si erano dappoi bruscamente interrotti con l'avvento degli invasori italici. Alla penetrazione culturale micenea si deve probabilmente, fra l'altro, una più ampia diffusione del bronzo, che in Sicilia entra comunemente nell'uso domestico appunto a partire da questa età. Durante il periodo della seconda facies (1000 - 850 circa a.c.), in cui al commercio miceneo si è ormai sostituito quello fenicio, si registra il rapido e rigoglioso sviluppo dell'insediamento di Cassibile, altro centro popoloso sorto in una posizione inespugnabile che risponde agli stessi criteri difensivi ed allo stesso modulo ecosistemico di Pantalica. Quest'ultima, invece, a giudicare dall'eseguità delle testimonianze riferibili alla seconda facies (appena tre corredi tombali), sembra essersi improvvisamente defilata dalla scena della Sicilia orientale per oltre un secolo e mezzo. La temporanea decadenza di Pantalica e la parallela altrettanto temporanea fioritura di Cassibile sono probabilmente tra loro collegate da ragioni politiche e militari. Se si considera che della stessa epoca - come indicano concordemente tradizione storica e indagine archeologica - è l'invasione di genti ausonie culminata con la fondazione di Xouthia (Lentini), appare legittima l'ipotesi secondo cui proprio la bellicosità di queste genti avrebbe indotto il nucleo maggiore della popolazione di Pantalica a spostarsi provvisoriamente in una sede più sicura (appunto Cassibile), lontana dal territorio conteso. Tra l'850 ed il 730 circa a.c., venuti meno in qualche modo i fattori politici che ne avevano provocato l'eclissi, Pantalica attraversa un nuovo periodo di splendore (terza facies). Ne sono testimonianza le dense necropoli di Filiporto, della Cavetta, la massima parte della necropoli sud, con estese propaggini oltre il corso dell'Anapo, e la necropoli al di là del rivo Calcinara. Sono ormai ampiamente diffusi i manufatti in ferro e già si avvertono i prodromi dell'influenza greca. Come si è detto, Pantalica sopravvive anche nei decenni successivi alla fondazione delle prime colonie greche. Ed un'ulteriore conferma è venuta da una coppa protocorinzia recentemente rinvenuta in una grotticella della necropoli Sud. Ma in questa fase più tarda (730 - 663 circa a.c.) la civiltà indigena viene ellenizzandosi ormai rapidamente, perdendo la propria identità. Dell'antico abitato, costituito probabilmente da anglomerati di capanne in pietrame e terra o legname, non conosciamo altro che le rovine di una grandiosa costruzione in blocchi poligonali, un tempo nota come "il palazzo della signora", nella quale si è riconosciuta l'anàktoron di un principe locale (anax), risalente alla prima fase di vita della città ed in qualche modo riattato dai Bizantini.
Nel vano maggiore meridionale del palazzo Paolo Orsi, il primo grande indagatore di Pantalica, rivenne le tracce di una fonderia di bronzi; da ciò fu portato a ritenere che la lavorazione del metallo fosse nell'antica comunità una prerogativa del capo. Per la sua unicità nel panorama della Sicilia protostorica, l'anàktoron di Pantalica, in gran parte di struttura megalitica, venne dallo stesso Orsi fondamentalmente attribuito a maestranze micenee al servizio del principe barbaro. Recentemente, in prossimità dell'anaktoron sono stati messi in luce i resti di antiche strutture monumentali, che nella loro articolazione sembrano definire un'acropoli fortificata in cui il palazzo principesco doveva inserirsi come elemento essenziale. Si tratta infatti di tre cinte murarie, l'una, munita di torre aggettante, congiunta ai due lati maggiori del palazzo e sviluppatesi lungo i margini del pianoro, le altre due erette a sbarramento del pendio sottostante. È probabile che i quartieri più densamente popolati dell'insediamento montano fossero dislocati lungo le terrazze meridionali, in lieve pendio e riparate dai freddi venti di settentrione. Ma si tratta ancora, evidentemente, di pura ipotesi. Bisognerà attendere a nuovi pazienti scavi per localizzare, sia pure seguendo tracce labilissime, l'antico impianto urbano e ricostruirne le caratteristiche. Per il momento, deve ritenersi indicativa la recente identificazione dei resti di un santuario di Demetra e Kore nel pianoro sottostante l'anàktoron. Se infatti, come si ha ragione di credere, questi resti attestano la continuazione in età classica di un culto agreste dell'antica Hybla da parte di pastori e contadini, qui, sotto la dimora del capo, doveva essere almeno il centro della vita religiosa della città. Oltre al santuario testé ricordato, di età greca sembrano gli avanzi delle opere di fortificazione poste a sbarrare l'angusta sella di Filiporto, costituite da un trincerone rafforzato da un muro a grandi blocchi in struttura isodoma. Ma più che a Pantalica l'impronta della presenza greca nell'area va ricercato nella valle dell'Anapo: qui, infatti, in contrada "Fusco", è il punto di presa del canale Galermi, un lungo acquedotto costruito in ampi tratti entro gallerie scavate nella roccia, che convogliava le acque del fiume fino alla vasca di distribuzione di Siracusa. La sua costruzione si fa risalire all'epoca della tirannide di Gelone, che pare abbia impiegato come manodopera anche i Cartaginesi sconfitti nella battaglia di Imera nel 480 a.c. Distrutto per la sua vitale importanza nel 413 a.c. dagli Ateniesi che assediavano Siracusa, il canale Galermi venne ripristinato nel 1576 dal sortinese Pietro Gaetani ed è ancora oggi utilizzato per fini irrigui. Testimonianze cospicue della presenza bizantina a Pantalica sono tre gruppi di abitazioni rupestri (Filiporto, Sud, Cavetta), formate da camerini di ampiezza diversa ricavati nella roccia calcarea. A questi tre villaggi corrispondono i minuscoli, suggestivi oratori di San Micidiario, di San Nicolicchio e del Crocifisso, pur essi rupestri, sulle cui pareti si intravedono residui di figurazioni dipinte